La malattia del lavoratore è una delle cause più comuni di assenza dal lavoro, ma quando questa si prolunga oltre certi limiti, può portare alla risoluzione del rapporto di lavoro. È lecito chiedersi: il datore di lavoro può licenziare un dipendente per malattia lunga o cronica? E se sì, dopo quanti giorni?

In Italia, la legge tutela il lavoratore in malattia, ma fissa anche limiti di durata oltre i quali il datore di lavoro può procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto.

In questo articolo analizziamo quando è possibile il licenziamento per malattia prolungata, quali sono i riferimenti normativi, i tempi da rispettare e i diritti del lavoratore.

Cos’è il periodo di comporto

Il periodo di comporto è il tempo massimo durante il quale un lavoratore può mantenere il posto di lavoro in caso di malattia, anche se assente. Durante questo periodo, il contratto resta valido e il dipendente non può essere licenziato solo per il fatto di essere malato.

La durata del comporto varia in base a:

  • Tipologia di contratto collettivo nazionale (CCNL) applicato

  • Anzianità di servizio del lavoratore

  • Eventuali accordi aziendali o individuali

Generalmente, nei contratti più diffusi, il comporto è pari a:

  • 180 giorni per il contratto del commercio

  • 12 mesi (continui o frazionati) per il contratto metalmeccanico

  • 18 mesi per i dipendenti pubblici

Superato il periodo massimo, il datore di lavoro può valutare la risoluzione del rapporto di lavoro per impossibilità di utilizzo della prestazione lavorativa.

Quando è possibile il licenziamento per malattia prolungata

Il licenziamento per malattia prolungata è possibile solo dopo il superamento del comporto. Non si tratta di un licenziamento per giusta causa o disciplinare, ma di una legittima cessazione del contratto per impossibilità oggettiva.

Il datore di lavoro può procedere se:

  • Il lavoratore ha superato i giorni di comporto previsti

  • L’assenza per malattia è documentata, ma ormai troppo lunga

  • L’impresa non può più garantire l’attesa del recupero del dipendente

  • Non ci sono possibilità di reinserimento in altra mansione compatibile

La cessazione deve avvenire in modo formale e motivato, rispettando i diritti del lavoratore.

180 giorni di malattia: si può essere licenziati?

Sì, in molti contratti collettivi, il limite di 180 giorni di assenza per malattia rappresenta il termine massimo del comporto. Una volta superato questo periodo, il datore di lavoro può decidere di interrompere il rapporto, previa comunicazione scritta.

È importante sottolineare che:

  • I 180 giorni non devono essere necessariamente continuativi, ma possono essere anche frazionati nell’arco di un anno

  • Il calcolo parte dalla prima assenza per malattia e considera tutte le certificazioni mediche consecutive o intervallate

  • Il superamento va dimostrato attraverso la documentazione sanitaria e le presenze/assenze registrate

Il lavoratore ha il diritto di essere informato sul superamento e di ricevere tutte le spettanze maturate fino al giorno della cessazione.

Come avviene il licenziamento per malattia prolungata

Il licenziamento deve essere:

  • Comunicato per iscritto

  • Motivato chiaramente con riferimento al superamento del periodo di comporto

  • Efficace dalla data indicata nella lettera, senza necessità di preavviso

Anche se non è un licenziamento per colpa, il datore non è obbligato a riconoscere il preavviso, ma può corrispondere l’indennità sostitutiva se prevista dal contratto.

Il lavoratore ha comunque diritto a:

  • TFR

  • Ferie residue

  • Ratei di tredicesima o altre mensilità aggiuntive

  • Certificazione Unica per la dichiarazione dei redditi

Il datore di lavoro è obbligato a licenziare?

No, anche dopo il superamento del comporto, il datore non è obbligato a procedere con il licenziamento. Può anche decidere di:

  • Aspettare ulteriormente il rientro del dipendente

  • Assegnarlo a mansioni compatibili se parzialmente idoneo

  • Proporre un accordo consensuale di risoluzione

La legge offre quindi un margine di discrezionalità, ma impone coerenza con le condizioni organizzative e la sostenibilità aziendale.

La malattia cronica dà diritto alla conservazione del posto?

Se la malattia è cronica o invalidante, il lavoratore può essere riconosciuto come persona con disabilità. In questo caso, prima di procedere con il licenziamento, il datore ha l’obbligo di:

  • Valutare eventuali soluzioni di adattamento del posto di lavoro

  • Considerare il reimpiego in mansioni compatibili

  • Dimostrare che non esistono alternative praticabili

Se il datore non adempie a queste verifiche, il licenziamento potrebbe essere considerato discriminatorio o illegittimo.

Il lavoratore può impugnare il licenziamento?

Sì, il lavoratore può impugnare il licenziamento per malattia prolungata se ritiene che:

  • Il comporto non sia stato effettivamente superato

  • La documentazione non sia corretta o aggiornata

  • La decisione del datore sia affrettata o discriminatoria

  • Non sia stata valutata la possibilità di mansioni alternative

L’impugnazione deve avvenire:

  • Entro 60 giorni dalla ricezione della lettera

  • Mediante comunicazione scritta, anche tramite sindacato o avvocato

  • Con eventuale ricorso giudiziale entro 180 giorni

In caso di accoglimento, il giudice può ordinare:

  • Il reintegro nel posto di lavoro

  • Un risarcimento economico

  • Il pagamento dei contributi previdenziali mancanti

Differenze tra licenziamento e invalidità

La cessazione del contratto per malattia non coincide con il riconoscimento dell’invalidità. Infatti:

  • Il licenziamento per comporto riguarda l’impossibilità temporanea o definitiva di lavorare

  • L’invalidità civile o da lavoro è un procedimento medico-legale separato, gestito dall’INPS o da altri enti

Il lavoratore può essere licenziato per malattia anche se non è stato ancora riconosciuto invalido, purché siano rispettate le condizioni previste dal contratto.

Conclusione

Il licenziamento per malattia prolungata è consentito dalla legge, ma solo dopo il superamento del periodo di comporto previsto dal contratto collettivo applicabile. Il datore di lavoro deve agire nel rispetto della normativa, della correttezza formale e delle tutele riconosciute al dipendente.

Per il lavoratore, conoscere i propri diritti è fondamentale per evitare licenziamenti illegittimi e per affrontare con consapevolezza un momento complesso della propria vita lavorativa. Dove possibile, la ricollocazione o la risoluzione consensuale restano soluzioni preferibili rispetto al recesso unilaterale.

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