La difficoltà di reperimento del personale è ormai una delle sfide più critiche per le imprese italiane. Secondo i recenti dati diffusi da Unioncamere e CNEL, quasi un’azienda su due incontra ostacoli significativi nel trovare candidati adeguati, in particolare nei settori ad alta specializzazione tecnica. Questo fenomeno non è più episodico, ma strutturale, con conseguenze dirette sulla produttività, la competitività e la crescita del sistema economico nazionale.
Cosa significa davvero “difficoltà di reperimento del personale”
La difficoltà di reperimento del personale si verifica quando le imprese non riescono a trovare, in tempi ragionevoli, lavoratori con le competenze richieste per una determinata posizione. Le cause possono essere molteplici: mismatch tra domanda e offerta, carenza di profili formati, mobilità geografica limitata o scarsa attrattività del settore.
Questa condizione non riguarda solo ruoli altamente qualificati, ma si estende anche a profili tecnici intermedi, spesso trascurati nei percorsi formativi tradizionali. In molti casi, le aziende sono costrette a rinunciare a progetti di crescita o a ridurre la propria operatività per mancanza di personale idoneo.
I settori più colpiti dalla carenza di lavoratori
Tra i comparti che maggiormente soffrono questa carenza si segnalano:
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Metalmeccanico: servono operai specializzati, saldatori, tornitori e manutentori.
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Elettronica e automazione: mancano tecnici con competenze aggiornate in ambito digitale e produttivo.
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Servizi ICT: cresce la domanda di sviluppatori, sistemisti, esperti in cybersecurity e analisti dati.
Questi settori rappresentano il motore dell’innovazione industriale italiana e sono fondamentali per la transizione digitale e green del Paese. Tuttavia, senza personale qualificato, le imprese faticano a sostenere i ritmi dell’evoluzione tecnologica.
Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro
Uno degli aspetti più critici è il cosiddetto mismatch, ovvero la discrepanza tra le competenze richieste dalle aziende e quelle effettivamente presenti nel mercato del lavoro. Questo squilibrio è acuito da una serie di fattori:
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Orientamento scolastico non aggiornato: molti studenti scelgono percorsi poco spendibili nel mercato del lavoro.
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Formazione tecnica sottovalutata: gli Istituti Tecnici e Professionali, pur offrendo buone prospettive occupazionali, sono spesso considerati secondari rispetto ai licei.
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Difficoltà nella formazione continua: le imprese faticano a trovare risorse per aggiornare il personale interno, aggravando il divario tra competenze disponibili e necessarie.
Il risultato è un mercato del lavoro dove convivono disoccupazione e posti vacanti.
Quali profili saranno più richiesti nei prossimi anni
Secondo le proiezioni Unioncamere, tra oggi e i prossimi anni serviranno tra 3,3 e 3,7 milioni di nuovi lavoratori, con una forte prevalenza (74%) nel settore dei servizi. I profili più ricercati saranno:
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Laureati, in particolare in ambito STEM, economia e discipline sanitarie.
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Diplomati tecnici, provenienti da indirizzi industriali, informatici e meccanici.
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Professionisti con competenze trasversali, come project management, problem solving, lavoro in team e competenze digitali.
In questo contesto, investire sulla formazione e sull’orientamento diventa una priorità strategica sia per le istituzioni che per le imprese.
Le conseguenze per le imprese italiane
La difficoltà di reperimento del personale non è solo una questione di HR. Ha ricadute economiche tangibili:
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Ritardi nella produzione e nell’erogazione dei servizi.
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Maggiore rotazione del personale, con costi crescenti per il recruiting.
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Perdita di competitività, soprattutto per le PMI che non possono permettersi di attendere mesi per coprire una posizione.
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Crescente ricorso a lavoratori esterni o a collaborazioni internazionali, spesso più costose e meno integrate nei processi aziendali.
In un mercato sempre più dinamico, il capitale umano diventa il vero fattore differenziante.
Come stanno reagendo le imprese
Molte aziende stanno adottando soluzioni alternative per fronteggiare questa emergenza:
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Formazione interna: percorsi di upskilling e reskilling dei dipendenti attuali.
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Collaborazioni con scuole e ITS: per favorire l’inserimento diretto di studenti in azienda.
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Employer branding: strategie per rendere l’azienda più attrattiva, soprattutto per i giovani.
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Welfare aziendale e flessibilità: strumenti per trattenere il personale e migliorare il clima lavorativo.
Non mancano anche le imprese che investono su territori differenti, delocalizzando alcune attività dove il mercato del lavoro è meno saturo.
Il ruolo delle istituzioni e della formazione pubblica
Affrontare la difficoltà di reperimento del personale richiede un’azione coordinata a livello nazionale. Alcune proposte ricorrenti:
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Potenziare gli Istituti Tecnici Superiori (ITS), oggi ancora sottoutilizzati rispetto al loro potenziale.
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Riformare l’orientamento scolastico, introducendo già dalle scuole medie attività di scoperta del mondo del lavoro.
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Incentivare la formazione professionale continua, anche attraverso crediti fiscali o contributi pubblici.
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Rendere più attrattivo il lavoro in settori strategici, migliorando le condizioni contrattuali e riducendo la precarietà.
Il capitale umano non si crea dall’oggi al domani: serve un cambio di paradigma culturale oltre che operativo.
Un nodo da sciogliere per il futuro del lavoro
La difficoltà di reperimento del personale è uno dei temi centrali del mondo del lavoro contemporaneo. Le imprese italiane, in particolare quelle più dinamiche e orientate all’innovazione, rischiano di trovarsi frenate proprio dalla mancanza delle risorse umane necessarie per crescere.
Invertire questa tendenza richiede una sinergia tra pubblico e privato, tra scuola e impresa, tra politiche attive e orientamento strategico. Ma soprattutto, serve una visione chiara su quale tipo di economia vogliamo costruire nei prossimi anni: un’economia capace di valorizzare davvero il lavoro e il talento.
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