In questo articolo approfondiremo un aspetto ulteriore legato alla pensione di invalidità, il beneficio di tipo assistenziale erogato a favore di soggetti riconosciuti invalidi o inabili, ossia soggetti affetti da minorazioni congenite o acquisite causa di una riduzione della capacità lavorativa.
Perché e quando viene tolta la pensione di invalidità? Cosa comporta?
Pensione di invalidità: cos’è
Di pensione di invalidità il nostro sito ha già avuto modo di occuparsi in un precedente articolo che abbiamo linkato poco sopra. In questa sede, pertanto, ci limiteremo ad una breve sintesi funzionale a capire poi le cause a fronte delle quali poi essa viene tolta.
Ai sensi della L. 118/71, la pensione di invalidità civile o inabilità, è un beneficio economico erogato dall’Inps a favore di tutti i cittadini italiani o stranieri in possesso di regolare permesso di soggiorno, mutilati ed invalidi che:
- hanno un’età compresa fra i 18 ed i 67 anni;
- ai quali è riconosciuta da un’apposita commissione nominata dall’Inps una totale incapacità lavorativa del 100%;
- presentano un reddito Isee inferiore a 9.102,34 euro.
A questi spetta l’erogazione di una somma di denaro di importo pari a 386,27 euro per 13 mensilità, ogni anno.
Domanda e documentazione
Ai fini del riconoscimento dell’invalidità è necessario presentare un’apposita domanda, da inoltrare all’Inps per via telematica, allegando alla stessa un certificato del proprio medico curante.
Una volta rilasciato, il verbale redatto dalla Commissione medico legale deve essere allegato direttamente alla domanda, in aggiunta a documenti ulteriori quali:
- eventuali ricoveri;
- documenti che attestano un’attività lavorativa in corso ;
- dati riguardanti il reddito;
- indicazione delle modalità di pagamento ed eventualmente della delega ad un terzo a provvedere alla riscossione.
Pensione di invalidità: quando viene tolta
La Pensione di invalidità può essere tolta e il beneficio può essere perso nei casi in cui:
- si superano l’età stabilità, ossia i 67 anni;
- si supera la soglia di reddito;
- si svolge un’attività lavorativa il cui guadagno ricavato supera il reddito consentito;
- dopo una visita di accertamento, a seguito della quale viene certificato che non si raggiunge più la percentuale minima richiesta per ottenere il beneficio.
Tutto questo avviene per cercare di arginare il fenomeno cosidetto dei ‘finti invalidi’, di cui capita spesso di leggere sui vari quotidiani.
Ma torniamo a noi: nel primo caso, qualora il richiedente raggiunga la soglia di età di 67 anni o li abbia già compiuti non avrà diritto alla pensione di invalidità, ma alla pensione sociale.
Gli altri due casi attengono perlopiù ad altre tipologie di benefici, quali l’assegno di invalidità civile, riconosciuto ai soggetti a cui viene accertata una invalidità parziale in misura compresa tra il 74% e il 99% o le forme di pensione previdenziale, spettanti ai lavoratori con ridotte o nulle capacità lavorative, ma con attivo un tipo di rapporto assicurativo con un fondo previdenziale.
Nell’ipotesi in cui l’invalido, a cui è riconosciuta la possibilità di svolgere un’attività lavorativa, superi col proprio guadagno il limite reddituale fissato per legge, perde il diritto al beneficio economico.
Per questo è necessario trasmettere entro 30 giorni un’apposita comunicazione all’Inps, inoltrabile:
- tramite CAF;
- compilando online il modello AP70;
- compilando il modulo ICLAV, una dichiarazione sostitutiva in cui l’invalido percettore del beneficio dichiara di essere o meno lavoratore.
Per quanto riguarda, infine, l’ultimo punto, la Corte di Cassazione ha stabilito che nel caso in cui venisse a mancare il requisito sanitario, l’interessato è tenuto alla restituzione della pensione pensione di invalidità o dell’assegno solo per la somma ricevuta a partire dal giorno in cui l’interessato ha avuto comunicazione del provvedimento.
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